Consigli per startupper da Brave Potions, la startup “magica”

Dopo l’intervista a Enrico Flaccovio, il giovane editore che ha realizzato il suo progetto imprenditoriale di una collana dedicata al web, è il momento di dare spazio a un’altra storia. La storia di un giovane imprenditore con un sogno nel cassetto. Oggi intervistiamo Alberto Piras, founder di Brave Potions.

Brave Potions è una startup il cui scopo è quello di trasformare la paura che hanno i bambini di fronte a punture, trapani e piccoli “strumenti di tortura”, in un momento “magico”. L’idea è semplice quanto geniale e, come leggerai dalle vive parole di Alberto, questa realtà sta crescendo ogni giorno di più.

Se hai in mente di aprire una startup tutta tua, hai almeno due buoni motivi per restare e leggere il racconto di Alberto:

  • imparerai dall’esperienza di uno startupper;
  • troverai tanti consigli utili.

Non ci resta che augurarti buona lettura!

A tu per tu con Alberto Piras di Brave Potions

1) Alberto, ti va di raccontarci del tuo sogno made in Italy di avere una startup? Come è nato?
È nato per combinazione. Nel 2014 ho aiutato la mia fidanzata, che ora è mia moglie, a portare avanti un progetto per Innovaction Lab. Ho conosciuto così il mondo delle startup e a luglio 2014 ho deciso di partecipare all’Innovaction Camp di Allumiere: una versione super ridotta di Innovaction Lab. Ad Allumiere ho conosciuto Federico, mio attuale socio, e in 5 giorni abbiamo formato il team di Brave Potions, sviluppato l’idea e realizzato un pitch per gli investitori. Dopo alcune notti praticamente insonni abbiamo vinto la competizione e abbiamo capito che Brave Potions poteva avere un futuro. In quei giorni sono stati fondamentali l’aiuto e gli insegnamenti di Carlotta Cattaneo, Carlo Alberto Pratesi e Roberto Magnifico.

Nei mesi successivi abbiamo realizzato un primo prototipo del “prodotto”, molto molto artigianale, e lo abbiamo presentato ad Augusto Coppola, direttore di Enlabs. Augusto ci ha suggerito di fare domanda per il programma di accelerazione di Enlabs. Abbiamo seguito il suo consiglio e a febbraio 2015 ho lasciato il lavoro e la mia amata Cagliari per trasferirmi a Roma e lavorare a tempo pieno sul progetto.

2) Nello specifico, come nasce Brave Potions?
L’idea di Brave Potions in realtà è nata prima del Camp di Allumiere, ma si trattava solo ed esclusivamente di un pensiero. Un giorno, su Facebook, ho visto un’immagine di una cover che trasformava le sacche delle flebo in formule per diventare supereroi. Si trattava di un progetto spot realizzato dalla DC Comics in un reparto di oncologia pediatrica in Brasile. Dopo averla vista mi sono chiesto: “Chissà se qualcuno ha pensato di usare lo stesso approccio per far superare la paura delle siringhe che terrorizzano sempre i bambini (io continuo ad avere una fifa incredibile)?”. Dopo una ricerca, ho visto che in realtà non era stata pensata una soluzione del genere e così ho iniziato a sviluppare l’idea.

3) Di cosa si occupa Brave Potions?
Brave Potions risolve uno dei problemi più grandi che devono affrontare medici, dentisti e genitori quando devono curare o dare una medicina ai bambini: la paura. Grazie alla soluzione elaborata da noi, la paura viene ridotta e i bambini sono più tranquilli e collaborativi. Questo permette di ottimizzare il lavoro del medico e di migliorare anche il rapporto tra lui e il piccolo paziente. Noi raggiungiamo questo risultato “trasformando” in pozioni magiche gli strumenti del medico e, con la nostra app, facciamo vedere ai bambini gli effetti della magia. Durante l’esperienza che abbiamo creato per loro, i bambini, tramite dei brevi cartoni animati prodotti da noi, capiscono che il dottore li potrà curare facendoli tornare contenti. Il tutto usando la metafora della magia. Nelle storie facciamo anche capire ai pazientini che potranno sentire un piccolo dolorino, ma che sarà solo temporaneo e che servirà a guarirli. Abbiamo visto che questo approccio risulta essere molto efficace in quanto i bambini capiscono la magia, ma non la medicina.

4) Quanto contano, per una startup: a) innovatività del servizio, b) passione e resilienza, c) capacità imprenditoriali. Di questi elementi, qual è il più importante?
Sono certamente tre aspetti molto importanti, ma secondo me il più importante è la passione. L’innovatività deve esserci, ma può anche essere relativa al mercato a cui ci si rivolge, e non quindi qualcosa che nessuno ha mai realizzato prima. Ci sono tantissimi casi di startup che hanno emulato le soluzioni proposte da altre società, riferendosi però a mercati diversi o modificando solo alcuni aspetti dell’idea iniziale. È praticamente impossibile trovare una soluzione a cui nessuno abbia mai pensato, ma molto spesso le soluzioni già esistenti possono essere migliorate.

Le capacità imprenditoriali sono molto importanti, perché possono aiutare a commettere meno errori o a trovare soluzioni più efficienti in minor tempo; restano comunque un elemento che una persona può acquisire e migliorare con l’esperienza.

Se mancano la passione e la capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, invece, è davvero difficile andare avanti a lungo. Nello sviluppo di una startup, le difficoltà sono tante, specialmente all’inizio, e se alla base di tutto non c’è la passione, è facile che si decida di abbandonare l’idea. Io ho avuto la fortuna di lavorare alla New York University, presso uno dei più importanti centri di formazione per odontoiatri al mondo. Durante quel periodo ero assistente del direttore, il quale mi ripeteva sempre che solo la passione lo aveva portato a diventare quello che era. Lui non aveva studiato medicina e odontoiatria, eppure era il capo del centro. Chi ha la passione può raggiungere qualsiasi risultato.

5) Qual è il processo per raccogliere i fondi? Come si articola?
Noi abbiamo iniziato lo sviluppo del progetto grazie a dei fondi ricevuti da Sardegna Ricerche. Sono stati per noi fondamentali, in quanto ci hanno permesso di realizzare un primo MVP e capire se la nostra intuizione poteva essere trasformata, o meno, in un servizio vendibile. Dopo questa prima fase, ci siamo rivolti direttamente a LUISS Enlabs, acceleratore di startup, e abbiamo partecipato alle loro selezioni. Non è stato un percorso semplice, ma siamo stati selezionati per partecipare al loro sesto programma e abbiamo quindi ricevuto un investimento di 60K, 30 in servizi e 30 da spendere. Al termine del percorso di accelerazione abbiamo partecipato all’Investor Day, durante il quale abbiamo presentato il nostro progetto a decine di investitori chiedendo 200.000€. In questi giorni stiamo terminando le ultime formalità per chiudere l’aumento di capitale e continuare quindi a spingere sullo sviluppo del progetto.

Questa è stata la nostra strada, ma ogni startup fa un po’ storia a sé. Dipende molto infatti dalle caratteristiche del team e dell’idea da sviluppare. Purtroppo non c’è una “ricetta” applicabile a tutti.

6) Secondo la tua esperienza, quanta liquidità occorre a una startup per finanziare almeno il suo primo anno di attività?
Come ho detto prima, ogni startup ha le sue peculiarità, per cui è difficile dare delle indicazioni che vadano bene per tutti. Un suggerimento che posso dare è quello di usare un approccio lean, cioè un processo di ideazione-verifica-modifica continuo, per due finalità: adattare il servizio o il prodotto alle necessità dei clienti e tenere sotto controllo i costi.

Per me è stato utilissimo leggere il libro Pretotype it, il cui motto, per così dire, è “Assicurati di costruire la cosa giusta, prima di costruirla per bene”. È inutile infatti sprecare tempo e risorse per sviluppare un prodotto con mille feature, che a noi sembrano utilissime, senza testare se queste siano davvero apprezzate dai futuri clienti. Il rischio è quello di aver sprecato tutte le nostre energie per realizzare qualcosa che per noi è bellissimo, ma che in realtà non viene usato e soprattutto non viene comprato.

7) Il momento più difficile della tua carriera imprenditoriale?
Il momento più difficile è stato certamente quello in cui ho dovuto decidere se dedicarmi a tempo pieno allo sviluppo di Brave Potions, oppure no. Significava infatti dover lasciare il lavoro, la mia casa e la mia città per la seconda volta. Inoltre avevo appena deciso di sposarmi. È stato un periodo pieno di indecisioni e angosce, perché voleva dire cambiare vita e dedicarmi a un sogno, grande ma allo stesso tempo fragile. Alla fine però ho preso coraggio e ho deciso di lavorare per aiutare i bambini a trasformare il pianto in un sorriso.

8) E quello più lieto?
La soddisfazione più grande me l’ha data un’infermiera di un centro prelievi dove abbiamo testato il prodotto. Mi ha raccontato quello che le era successo facendo un prelievo a una bambina. La piccola era una paziente abituale di tre anni e mezzo. Da quando è nata, a causa della malattia deve fare un prelievo di sangue al mese. Ha sempre pianto e non ha mai neanche guardato negli occhi l’infermiera. Ma quando ha visto l’immagine della nostra fatina ha guardato l’infermiera e ha sorriso. E quando questa le ha chiesto di darle un braccio per poterla trasformare, la bambina le ha dato tutte e due le braccia.

L’infermiera mi ha raccontato questo episodio con le lacrime agli occhi, perché aveva finalmente creato un legame con la pazientina. Questo è stato il momento più bello perchè mi ha fatto capire che con la nostra soluzione e con il nostro impegno possiamo davvero aiutare i bambini a sorridere.

9) Consigli davvero utili per futuri startupper. Ne hai?
Il suggerimento che posso dare io è di cercare di apprendere il più possibile dagli altri. Bisogna accettare le critiche, cercare di capire perché sono state mosse e come si possono risolvere i problemi che le hanno causate. È inutile pensare che le critiche vengano fatte solo perché l’altra persona non ha capito. Se non ha capito, l’errore è stato comunque nostro, perché vuol dire che non siamo stati chiari o non abbiamo fatto percepire bene il messaggio.

10) Ora che hai realizzato il tuo sogno di startupper, ti va di raccontarci il prossimo sogno che hai nel cassetto?
Purtroppo sono ancora all’inizio… [sorride, ndr] Possiamo dire che ho fatto il primo passo, ma la strada è ancora molto, molto lunga!

Mi piacerebbe certamente ampliare l’applicazione del nostro servizio alle diverse strutture che si occupano di bambini, in modo da rendere meno traumatico il momento della visita e della cura. So che non sarà affatto semplice e che ci saranno tantissime difficoltà, ma sono sicuro che grazie alla passione potrò raggiungere i miei obiettivi. O, almeno, ci spero.

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